Tutti sono considerati sani solo quando a livello fisico non c’è nessun tipo di problema.Viene dato per scontato che, con le sole proprie forze, se si è forti fisicamente, si possa arrivare dappertutto. Invece c’è qualcuno, e non sono pochi di sicuro, che resta silenziosamente indietro, nonostante sia all’apparenza in perfetta salute.

Che bello sarebbe invece essere aspettati, aiutati, spronati, supportati e non sentirsi inadeguati,  frangibili e soli. Essere ascoltati senza giudizio, avere rispettati i propri tempi, i propri confini ed evitare una volta per tutte le generalizzazioni.         

Che bello sarebbe non sentirsi più dire, che quello che si prova e fa star male è tutto solo nella propria testa, che non si sembra nell’aspetto né ansiosi né depressi, che è necessario pensare a chi sta peggio, ecc. ecc..

Tutte le malattie, di qualsiasi tipo, invece, si portano dietro una montagna di fragilità. 

Quelle fisiche, proprie della malattia, quelle psicologiche, che spesso non si vedono, ma alle volte fanno più male delle altre.

Ma anche fragilità che ci sono sempre state e che la comparsa inaspettata di una malattia fisica fa ritornare in superficie dal profondo in cui erano schiacciate,  e fragilità nuove che la malattia, con la sua violenza, propone.

Quelli intorno, gli altri insegnano e spronano a essere forte, a non abbattersi, a resistere all’assalto della sventura. Tutti bravi maestri con le parole vuote e inutili. Ma  nessuno fa nulla fattivamente  per aiutare la persona malata  a riconoscere le sue debolezze ed esprimerle, a impegnarsi per trasformarle in coraggio, quando è possibile, o semplicemente lasciarle lì e imparare a conviverci, perché non possono essere trasformate in null’altro. Perché la fragilità appartiene all’essere umano in quanto tale e nessuno se ne può liberare. 

Tutti spingono piuttosto a migliorare, a buttarsele dietro le spalle. Alcuni, addirittura,  fanno finta di non vederle le fragilità, perché di certo aprire il coperchio del proprio animo e guardar dentro è sempre faticoso per tutti.

Ma non capiscono che senza riconoscere, esprimere, condividere, lavorare sulle proprie fragilità, alla fine, davvero non si potrà mai essere felici.

Allora, evviva la fragilità, evviva chi non la nasconde e  non ne ha paura, evviva chi ha la capacità di vederla dentro di sé e negli altri e impara a parlarne, senza vergognarsene.

Perché alla fine in questo modo, lasciando che le proprie debolezze vengano fuori come un fiume in piena, si permette anche agli altri la cosa più importante: di essere felici, con le loro fragilità e nonostante la malattia.

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