Ho vaghi   ricordi anche del periodo veneziano successivo a Sacile. Quando noi   quattro Cendon eravamo rimasti – in attesa di trasferirci nella casa di Sant’Angelo – dalla nonna e dalla zia Antonietta a Santa Maria Formosa; nel loro appartamento, come ospiti fissi, per alcuni mesi, in attesa degli eventi.

  Rammento l’imbarazzo  di famiglia   circa il da farsi, rispetto alla bandiera italiana, nei giorni in cui stava terminando la guerra, verso la fine dell’aprile del 1945. A casa, nonna e zia tenevano, riposto nella cassapanca, un vessillo di cotone tricolore, bianco, rosso e verde, un metro per due; l’intenzione era di spiegarlo per fuori, sul balcone, in quelle giornate festose, esternando ai passanti la gioia della famiglia, per la pace raggiunta.  

 Volevano non commettere errori però, erano momenti delicati quelli, della ‘’liberazione’’ nel Nord Italia; sul piano strategico, specie riguardo al Triveneto. 

 Il punto era che il modello di bandiera presente in casa – comprato prima dell’8 settembre, con un’offerta speciale – era quello filomonarchico; nella cui parte bianca figurava stampigliato, centralmente, lo stemma regale dei Savoia. Che fare nell’immediato?

Era noto come si aggirassero in quei giorni, per le calli veneziane, gruppi di partigiani con sentimenti antimonarchici (per la marcia su Roma, per il 25 luglio, per la fuga a Brindisi … un po’ mi spiegavano i miei, qualcosa capivo); la prudenza consigliava, allora, di non sventolare niente di  ‘’schierato’’,  di  compromettente all’esterno: meglio   una versione  patriottica, solo  di bandiera, con sopra cucita  cioè una tela bianca, che nascondesse lo stemma sabaudo.   

 Qualcosa ero riuscito a capire anch’io del problema…

  Era prevalsa alla fine, ago e filo, questa soluzione.

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