Un ragazzo, dopo una violenta discussione, tentava di uccidere la madre, raggiungendola nella cucina della struttura di accoglienza dove alloggiavano e sferrandogli numerosi fendenti con un coltello da cucina.

Il giovane, infatti, incolpava la madre di aver provocato il trasferimento dell’intera famiglia nella struttura protetta, a causa delle gravi incomprensioni con il padre dello stesso e delle denunce reciproche che avevano sospeso, per entrambi, la potestà genitoriale.

Il Tribunale dei minori di Napoli, quale giudice del riesame, aveva confermato, per il giovane, l’ordinanza di custodia cautelare presso un istituto penitenziario minorile.

La Corte di Cassazione, adita per la revoca della misura, con la sentenza del 03/07/2025, n. 24512, confermava la pericolosità sociale del ragazzo in quanto era evidente che, a causa della grave tensione familiare, la sua azione conseguisse a una volontà omicida persistente che si era manifestata nell’episodio in cui aveva colpita la madre in diversi punti vitali del corpo, rischiando di causarne il decesso.

Nonostante la conclamata pericolosità sociale del soggetto, secondo la Corte, la custodia cautelare intramuraria applicata dal Giudice per le Indagini preliminare non aveva tenuto conto di alcuni elementi essenziali per valutare la ricorrenza del pericolo di reiterazione del reato e l’adeguatezza della misura.

Infatti non erano state considerate la minore età del ricorrente, la mancanza di precedenti penali e la situazione di estremo disagio psicologico vissuta per il trasferimento presso la struttura di accoglienza.

Quindi, ferma restando la correttezza del giudizio di elevata pericolosità sociale espresso dal Tribunale dei minori, non può negarsi che le circostanze tipiche della fattispecie esaminata imponevano una valutazione più rigorosa del contesto familiare e personale nel quale si sono sviluppati i comportamenti criminosi, alla luce delle sue possibili prospettive di recupero del ragazzo.

In tale ambito rilevava anche la disponibilità fornita da alcuni familiari del minore ad accoglierlo ed averne cura che avrebbe evitato l’irrogazione della misura cautelare della detenzione carceraria.

Tale circostanza, alla luce delle peculiari condizioni personali e familiari dell’indagato, poteva, infatti, risultare idonea ad avviare un percorso rieducativo utile al suo recupero.

La finalità rieducativa della pena deve, infatti, essere attentamente vagliata per creare le condizioni affinché il condannato possa reinserirsi nella struttura sociale dignitosamente e non commettere nuovi reati.

Pertanto è evidente che se sussistano, come nella fattispecie, le condizioni idonee una misura restrittiva domiciliare sia senz’altro preferibile ad una misura intramuraria che mette generalmente il minore in contatto con realtà spesso inquinate e violente.

Avv. Carmela Bruniani

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