Gli atti umani di dedizione e generosità che ri-generano lo spirito

Durante una recente conversazione a margine di una stipula con una giovane insegnante di sostegno di bambini disabili delle scuole elementari che mi raccontava del suo lavoro, ho letto nei suoi occhi una gioia luminosa che soltanto l’atto donativo e generativo può dare. La gioia che si prova quando si compie un atto di generosità moltiplicata per mille perché nel caso di specie a quella dedizione si accompagnava, da un lato, la scoperta che quei bambini, accanto alla loro specifica disabilità, possiedono abilità e sensibilità accentuate e sorprendenti, e, dall’altro lato, che proprio grazie alla sua costante dedizione e supporto quei bambini progrediscono e sviluppano significativi miglioramenti rispetto alla loro specifica mancanza originaria. Atti donativi e generativi dicevo,  proprio quelli che un illustre teologo, non necessariamente ortodosso ma sempre intellettualmente stimolante, ha saputo raccontare con parole che lasciano il segno e che qui condivido “Nel quotidiano lavoro per i figli disabili i genitori prendono la loro anima, la spezzano e la danno in nutrimento ai figli: «Prendete, mangiate, questa è la nostra anima, offerta in sacrificio per voi» … Io penso che questo movimento spirituale possa generare lo spirito in chi lo riceve. … Si tratta della capacità umana di generare lo spirito: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»…”: Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina Editore, 2007, 140-141.

Ma allora, rifletto, se questi atti donativi e generativi sono richiesti ad una insegnante di sostegno, analogo approccio non può non essere richiesto al notaio quando si trova di fronte ad un soggetto affetto da disabilità relative proprio alle capacità espressive. La legge notarile prescrive, all’articolo 47, che «spetta soltanto al notaio indagare la volontà delle parti», attività questa che il notaio è tenuto a fare quotidianamente per tutti i comparenti, nel difficile equilibrio tra la domanda sul perché dell’atto richiesto – al fine di meglio, e più efficacemente, realizzare gli intenti – e il rispetto della sfera motivazionale interna di ciascuno. Ma il dovere di questa attività rimane ed anzi si accentua quando il notaio si trova di fronte ad un soggetto affetto da disabilità relative proprio alle capacità espressive. Certo il compito è difficile e delicato. C’è sempre nel notaio la preoccupazione di evitare di ricevere un atto da parte di un soggetto non capace di intendere e di volere, a volte si chiede un certificato medico che però quasi mai risolve il problema perché la realtà non è mai tutta bianca o tutta nera. Ed allora bisogna comprendere che il dovere, proprio la legge notarile, richiede dedizione e generosità (di tempo e di energie); e l’attività richiesta – e dovuta – può in concreto realizzarsi ponendo le domande adeguate, invitando il soggetto ad esprimersi come può, generando o rigenerando in lui una capacità espressiva (apparentemente) smarrita. Ed una recente pronuncia della Corte di Cassazione, commentata su questo sito, contiene importanti spunti in tal senso (Testamento pubblico e disponente che si esprime a monosillabi).

Certo a volte ci si arrende – e non si può non farlo. Ricordo un episodio in cui il soggetto, che avrebbe dovuto rilasciare una procura al figlio, in apparenza non mostrava alcuna difficoltà espressiva, ma anzi articolava il discorso con mostrata convinzione; purtroppo, però, le sue frasi pronunciate con sicurezza non avevano alcuna connessione logica ed erano assolutamente prive di significato. In queste situazioni sorge angosciosa una domanda: dov’è andato il suo spirito? Anche qui le parole del teologo possono dare un po’ di conforto: “siamo noi che dobbiamo tornare a … la povertà dello spirito che non vuole nulla e che è semplicemente felice di essere”: Vito Mancuso, ivi, 144.

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