2 OTTOBRE 2025
Alle persone con la sindrome di Down non basta e non serve essere in vista perché dolci, sorridenti, affettuosi. Hanno bisogno di diritti e dignità, soprattutto hanno bisogno di attenzione ai loro bisogni, non di essere trampolino di lancio per altri, che con la loro immagine sono diventati famosi.
Oggi i nati con la sindrome sono sempre meno, si fa diagnosi prenatale e si registrano pochissime nascite.. questo porta a pensare di aver cancellato un “problema”, di aver raggirato un ostacolo. In realtà si è solo messo la testa sotto la sabbia, le persone con la sindrome ci sono e hanno bisogno di ascolto, di fare rispettare i loro diritti e di essere guardati con rispetto, non come caricature.
Importante è tenere sempre presente che “Raccontare è importante.Ma oggi, più che mai, è importante come e da dove si racconta.
Ogni anno, in questa giornata, le bacheche si riempiono di sorrisi, di parole dolci, di storie raccontate per “ispirare”.
Ma ci sono storie che meritano di essere raccontate, e poi ci sono storie usate per mettersi in mostra.
Parlare di sindrome di Down non dovrebbe essere un pretesto per raccogliere like, consensi o applausi facili: dovrebbe essere un atto di responsabilità, che richiede rispetto, competenza e misura.
Troppo spesso, invece, chi racconta lo fa pensando a sé o alla commozione che può suscitare, all’immagine “inclusiva” da mostrare, al riconoscimento che ne può derivare…
Ma la disabilità non è uno strumento narrativo, né una scorciatoia per apparire sensibili o “dalla parte giusta”.
È una realtà complessa, che appartiene prima di tutto alle persone che la vivono, non a chi la strumentalizza.
Raccontare la sindrome di Down significa dare voce a chi, troppo spesso, non ne ha una. Non basta mostrarli sorridenti in un post o in un video: bisogna ascoltarli, rispettarli, rappresentarli con verità e dignità.
Ogni parola usata con superficialità è una forma di appropriazione e di mancanza di rispetto.
Chi vuole davvero parlare di inclusione deve farlo senza protagonismi, senza mettere se stesso al centro. Perché se alla fine della storia l’unico che emerge è chi la racconta, allora non è inclusione: è solo vanità travestita da empatia.
E chi racconta ha una responsabilità grande e non dovrebbe limitarsi a mostrare la “diversità felice”, serve raccontare la realtà intera.
Serve parlare di diritti, di inclusione vera, di opportunità e di rispetto.
Perché la disabilità non è una favola, ma una parte reale della nostra società.
Oggi non basta celebrare, bisogna ascoltare.
Ascoltare chi vive la sindrome di Down, ogni giorno, fuori dai riflettori.
Ascoltare per capire, non per commuoversi.
La tenerezza emoziona.
La verità cambia le cose.
E quando la verità trova spazio, la diversità non fa più paura: diventa forza, bellezza, vita condivisa”.
#vorreiprendereiltreno

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