“Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (E. Montale, Non chiederci la parola che squadri da ogni lato, da Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, 1990, 29).

No deboli. No vulnerabili. Con parole nuove iniziamo un dialogo che proponga immagini diverse da quelle tradizionali della carenza di vigore, della ferita senza rimedio e delle solitudini senza sostegno.

Cominciamo insieme dalla fragilità e dai suoi contenuti positivi, in attesa di altre parole.


La fragilità può appartenere alla giovinezza quanto alla vecchiaia di un essere umano ed esprimere il significato di un momento della nostra vita. La fragilità le attribuisce un valore particolare e irripetibile nella sua dimensione soggettiva: ne sono consapevoli gli artisti e i poeti, insieme con i giuristi e i legislatori.

Nella Camera dei Deputati e nel Senato sono stati presentati i disegni di legge C.1836, S.1299, C.2237, C.2317, C.2367, S.1576 per la riforma dell’art. 38 – e, in alcuni elaborati, dell’art. 3 – della nostra Costituzione: una riforma per riconoscere più esplicitamente la parità e i diritti delle persone con disabilità, accostandola, in alcune proposte, ad eventuali fragilità.

Oggi la nostra legge fondamentale utilizza il linguaggio del secondo dopoguerra e concetti riconducibili alla “inabilità” o alla “minorazione” (art. 38 Cost.), nel contesto di un arco costituzionale in cerca di valori condivisi e di energie per una concreta rinascita della società: in questa prospettiva, come allora, ricerchiamo dunque parole che ci uniscano e diano forma a progetti coerenti (fino in fondo) con le affermazioni di principi importanti.

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