Un uomo avaro

Conserva in un cassetto le garanzie di ogni elettrodomestico, compresi il phon, la grattugia e il frullino, anche dopo averli cambiati; se può al supermercato sceglie i prodotti quasi scaduti e con  lo sconto (“Cosa cambia?”); accomoda personalmente i “ciappini” vecchi, con l’ago è un vero maestro; non butta mai via gli zolfanelli usati, in qualche modo li ricicla (“Un fatto sentimentale”, sostiene); quando è il giorno della domestica nel residence, pagata dalla ditta, controlla sempre il sacchetto della spazzatura; in farmacia lo vediamo porgere la tessera sanitaria anche per l’aspirina; ai  buffet dei convegni si fa preparare dai camerieri, cui sussurra nell’orecchio qualcosa,  un superfagottino di dolcetti, che porta via con discrezione (tutti sanno che non ha né cani, né nipotini).

Ha sempre una scusa per sottrarsi alle collette (“Grazie, preferisco fare per conto mio”, nessuno vede mai niente però). Riconosce al volo quelli simili a lui, sa che la cosa è reciproca; se può si allea con loro, se no si barcamena (“Non ho fame, aspetto fuori”;“Beati voi che potete”; “Ognuno paga per quello che ha mangiato”).  Se qualcuno lo prende in giro alza le spalle: nega o ammette secondo le circostanze, non demorde mai comunque (“Liso sui gomiti? E’ un ricordo del nonno”; “Mughetti ogni settimana, per forza è fallito”; “L’ultima volta ho pagato io, ricordate?” – era sedici mesi prima).

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