Vengono dal Pakistan, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Iraq, dall’Egitto, dal Kosovo, dal Bangladesh, dalla Georgia…
Attraversano o meglio cercano più volte di attraversare i confini di paesi della rotta, come Serbia, Croazia, Austria e Slovenia, che li respingono in modo violento. Sono di massima maschi giovani: altrimenti non ce la farebbero a superare gli ostacoli. Ma anche minori non accompagnati.
Arrivano a Trieste in condizioni disastrose, con le piaghe ai piedi, lesioni cutanee da traumi, spesso con la scabbia o con malattie infettive all’apparato respiratorio: hanno bisogno della prima accoglienza, e cioè di docce, ricambi, pasti e visite mediche. Le associazioni di volontariato forniscono questa prima assistenza.
Ma i problemi più gravi sono due: il primo è il percorso per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Occorrono venti o trenta giorni per poter solo accedere alla questura e manifestare la volontà di chiedere asilo. Una volta ottenuto un foglio di carta chiamato “Invito” servono due o tre mesi per ottenere il primo permesso di soggiorno per richiesta di asilo, da rinnovare in seguito.
Il secondo problema è ottenere un posto per dormire: gli arrivi stanno aumentando anche a causa del recente blocco alle frontiere di Francia, Austria e soprattutto Germania che accoglieva gli immigrati con un sistema strutturato.
Esiste a Trieste una rete locale dei dormitori, a cui contribuiscono comunità e associazioni di volontariato, che in parte soddisfa i bisogni degli immigrati in transito o di quelli che attendono sia l’invito che il permesso di soggiorno.
Ma un numero crescente dorme per terra, ovunque, dopo lo sgombero del vecchio Silos dove avevano sistemato tende o alloggi di fortuna.
Arriverà l’inverno, e l’inverno a Trieste è duro: quelli che non hanno un letto dormiranno all’aperto, al freddo, esposti ai topi e alla bora.

3 risposte a “I fragili della rotta balcanica – Alberto Banterle”

  1. Avatar Carol Comand
    Carol Comand

    Povertà, schiavitù e sfruttamento spesso determinano “partenze” che non hanno propriamente a che fare con la fuga da un pericolo e non ammettono risposte “fotocopia” ma misure adeguate. Una soluzione va cercata.

  2. Avatar Alberto Banterle
    Alberto Banterle

    Certamente. E’ il problema della provenienza da “Paesi sicuri”. Ma nel testo pubblicato mi riferisco a chi chiede asilo in modo regolare, seguendo le prassi previste. Sono i tempi di attesa per ottenere l’ “Invito” e quelli per ottenere il permesso che sono lunghi. Sono tempi in cui per la maggioranza degli immigrati della rotta balcanica non c’è nessuna protezione. Suppliscono i volontari, ma ad esempio da quattro anni d’inverno ci sono mediamente 200 giovani (in rotazione) che dormono per terra in edifici fatiscenti.
    Comune e Prefettura hanno rifiutato di dare spazi con un minimo di servizi. E’ una questione umanitaria, che non contrasta le strategie del governo sulla immigrazione.

  3. Avatar Alberto Banterle
    Alberto Banterle

    Aggiungo qualcosa di più preciso alla risposta che ho dato alla domanda di Carol: innanzitutto in merito ai “paesi sicuri”.
    Secondo la Direttiva UE 2013/32, un paese si considera “sicuro” se, in base allo stato giuridico, all’applicazione della legge in un sistema democratico e alla situazione politica generale, si può dimostrare che in quel paese non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, tortura, trattamenti inumani o degradanti, né pericolo dovuto a violenza indiscriminata in conflitti armati interni o internazionali. Ogni Stato membro, però, può definire autonomamente la propria lista di paesi sicuri, basandosi anche su dati di agenzie internazionali quali UNHCR o Agenzia UE per l’asilo.

    Questi migranti, accertata la provenienza vengono respinti (come dire: torna a casa tua e cerca casomai di migliorare il tuo paese…). Per gli altri i tipi di accoglienza sono diversificati. A Trieste esiste l’Accoglienza diffusa: una associazione ad esempio, che ha vinto a suo tempo un bando, dà ospitalità a 800 immigrati regolari in 140 appartamenti. Per vivere questi devono trovarsi un lavoro. I Centri per l’impiego li aiutano, con corsi e segnalazione di posti vacanti.

    I cittadini comunque diffidano, hanno paura. Quello in cui credo si debba confidare è che chi ha un lavoro e si è formata una famiglia non ruba, non rapina, non stupra.

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