Se il comitato tecnico scientifico di Protocollo Napoli – impegnato per l’anno 2025 nella campagna nazionale contro l’alienazione parentale – ha criticato (sostenuto dalle associazioni e dai centri anti violenza romani) il protocollo siglato dal tribunale di Roma con l’ordine regionale degli psicologi, dei medici e degli avvocati, ha provveduto poi a elaborare, in questo articolo, una sua proposta di quesito tecnico da condividere con psicologi e consulenti dei tribunali, consapevoli che oggi la violenza domestica va affrontata con strumenti diversi, forgiati sulle indicazioni provenienti dagli articoli della Convenzione di Istanbul e della riforma Cartabia.
Il quesito proposto parte da alcune affermazioni di base e cioè che i consulenti tecnici non possono aderire a scuole che veicolano l’alienazione parentale e i trattamenti relativi (l’allontanamento del bambino della madre giudicata senza prove alienante e ostacolante) e che abbiano un’esperienza e una competenza specifica in materia di violenza domestica acquisita anche sul campo. In particolare devono essere esperti nel differenziare la ‘conflittualità’ dalla ‘violenza’, cosa che finora ha visto i consulenti sempre e solo parlare di dinamiche conflittuali, trasformando ogni allegazione di violenza inesorabilmente in conflitto, togliendo valore alle parole di donne e minori.
In particolare riportiamo qui quattro delle cose che i consulenti non devono fare, rispetto a prassi del passato e a competenze generiche:
sono esclusi accertamenti sui profili di personalità per ambedue i genitori non influenti sulla capacità genitoriale (art. 473-bis. 25 secondo comma); sono escluse indagini sulle competenze genitoriali che mettano a confronto e sullo stesso piano il genitore maltrattante con il genitore vittima; le competenze genitoriali positive in caso di violenza domestica non sono in alcun caso attribuibili al maltrattante. A titolo solo enunciativo si ribadisce che il criterio dell’accesso (per tale criterio intendendosi il comportamento di un genitore che faciliti il rapporto con l’altro quando il minorenne non intenda incontrarlo) non è ammissibile sotto qualsiasi formula.
non si dovranno dare letture del migliore affido perché questo è già statuito dall’art. 31 della Convenzione;
non ci si potrà riparare dietro lo scudo delle garanzie che il presunto reo deve avere fino al 3° grado di giudizio, perché il procedimento civile non commina pene né stabilisce verità oltre ogni ragionevole dubbio, ma si occupa per prima cosa di non arrecare danno e pregiudizio al minore, ponendosi nell’ottica di una sua maggiore tutela, che la Convenzione di Istanbul estende alla coppia madre-figlio in caso di allegazioni di violenza;
non ci si potrà appellare al principio della genitorialità condivisa (c.d. bigenitorialità) perché in caso di violenza essa è sospesa e perché essa – come la cassazione ha più volte affermato – ha un valore recessivo rispetto all’interesse principale del minore alla sicurezza e alla salute.
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