Dei miei primi anni di vita, conservo ricordi vaghi. Tanti dettagli – di quello che ero, che facevo allora – li ho ricostruiti attraverso foto del tempo, grazie a qualche lettera, coi racconti spontanei di famiglia.
Ero venuto alla luce nell’ospedale civile di Venezia, sotto il segno dello Scorpione; pesavo più di quattro chili alla nascita, pare fossi proprio un bel bambino. Riccioli biondo-rossi, quasi sempre allegro, sorridente.
A Sacile – una grossa borgata agreste fra Treviso e Pordenone, qualche migliaio di abitanti – c’eravamo trasferiti pochi mesi più tardi, mia madre, mia sorella e io; raggiungendo papà, che svolgeva lì funzioni amministrative, di raccordo tecnico, col grado di capitano dell’esercito. Indossava la divisa militare, lui, sul posto di lavoro, non gli si addiceva molto in verità; non credo abbia mai sparato un colpo di pistola, dubito avesse un’arma sua in dotazione.
La guerra era iniziata per l’Italia da più di un anno; noi quattro ‘’sfollati’’ lagunari abitavamo, là in campagna, al piano terra di un bel villone rustico; fuori del centro storico, al piano sopra di noi stavano i padroni di casa, brava gente. Si viveva tutto il giorno in mezzo al verde, grandi, bambini, animali domestici, ospiti occasionali; tanti prati, alberi, campi coltivati, una specie di paradiso.
I conflitti bellici creano delle isole protette, a volte, delle specie di bolle, fuori del tempo: cicale, grilli, ranocchie lungo i fossi, tortore in lontananza.
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