Quando si discorre con gli esperti del sociale (penso a taluni “antipsichiatri”, di casa nostra, gelosi di certe purezze o spigolosità da anni ’60 o ’70), accade non di rado di vedere accolti con diffidenza i richiami a qualsivoglia forma di “tecnica”. Anche di tipo giuridico.
Si teme, già nel suono di quella parola, una volontà di rifugio entro forme di specialismo; entro gusci passibili di svilire, alla lunga, l’approccio generale al problema. Qualcosa – sembrerebbe – di illusorio e sovrastrutturale, destinato a offuscare gli orizzonti dell’interprete più generoso: annacquando quella lotta verso i diritti civili in cui (si afferma) consiste l’essenza stessa del “movimento”.
Moniti del genere, pur giustificati, qua e là, da evasività o “dandismi” metodologici, non debbono esser ragione di disarmo scientifico; soprattutto per quanto riguarda le risorse organizzative di una disciplina. Le strumentazioni civilistiche in particolare: sarebbe ingiusto accusarle di reagire ai mutamenti della realtà in maniera sempre cieca o presuntuosa. Nell’imprinting stesso di forme del genere è da cogliere, semmai, una nota dialettica, vertenziale – che può fungere da vaccino contro il pericolo di subire meccanicamente gli alti e i bassi delle proclamazioni.
Ecco allora, per lo studioso, la necessità di impegnarsi sul terreno rimediale (esegetico, di analisi della giurisprudenza; ove occorra riformistico, attento agli ammonimenti della comparazione), affrontando questioni quali:
(a) come potrebbero immaginarsi “centri-servizi” unificati (a livello di USL o di Amministrazione provinciale) in grado di gestire, magari in termini automatici, pacchetti di provvidenze standardizzate per i deboli – riscossione di stipendi, pagamento di bollette, ratei di acquisti, contributi previdenziali, abbonamenti, ordini alla banca, canoni, pensioni, decisioni amministrativo/condominiali, etc.;
(b) se e quando sia possibile ottenere forzatamente, con una pronuncia del giudice (ordinario o amministrativo), l’insediamento di un ufficio/servizio previsto dalla legge, l’eliminazione di una barriera architettonica, la messa in opera di un assistente scolastico specializzato;
(c) quali mezzi vadano immaginati, nel diritto dei contratti, onde consentire – a favore di un debole – eventuali recessi o esoneri da responsabilità per inadempimenti, o al fine di prevedere necessità particolari di informazioni (ad esempio, per i contratti di massa);
(d) se non dovrebbe farsi luogo a margini più o meno estesi di apprezzamento/rilevanza della colpa “soggettiva”, autorizzando il giudice a “tarare” il contenuto del comportamento esigibile in funzione delle possibili difficoltà o menomazioni psico-fisiche della vittima o del danneggiante;
(e) se non meriti di essere potenziata, in via legislativa, o sul piano dell’applicazione giurisprudenziale, l’area in cui operano – a favore di soggetti ‘’deboli’’ (figli, consumatori, lavoratori subordinati, bersagli della pubblicità commerciale, vittime di incidenti, etc.) – fenomeni di inversione dell’onere della prova;
(f) se non dovrebbe farsi luogo a forme di assicurazione specifica per le persone fragili, esposte – come tali – ad arrecare danno (in misura maggiore del consueto) sia a se stesse, sia ad altri soggetti.
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