PATTO DI RIFIORITURA
La legge sull’ADS del 2004 non parlava di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario; ammetteva una risposta simile in via generale: riconosceva cioè la possibilità di incapacitazioni su tutti i terreni, imprecisatamente, di fronte a certi presupposti di inadeguatezza gestionale.
Di scelte sanitarie si è invece parlato in modo esplicito quattro anni fa, con la legge n. 219 sulle DAT, del 2017. E l’impeccabilità sistematica di tale indicazione è stata confermata più tardi dalla Corte Costituzionale.
‘’Rappresentanza esclusiva’’ in sanità vuol dire – sottolineiamo – che l’amministratore di sostegno decidera’ lui, in forza dell’investitura dal giudice tutelare, se le richieste formulate del medico vadano oppure no accolte.
Pazienza se il sofferente e’ momentaneamente in disaccordo.
Anche l’infermo – si sottolinea – ha insomma dei doveri, verso se stesso, verso chi gli è vicino; inutile fingere che non ci siano in lui momenti occasionali di pericolosità, verso la sua stessa persona, verso gli altri.
E il paziente avrà comunque diritto che si tenga conto non già delle sue contingenti ombrosità e ribellioni autolesionistiche – bensì del suo segreto e profondo, anche se in quel momento imbavagliato, desiderio di uscita dal tunnel.
Se un’indicazione pro esclusività decisoria è stata fornita sul terreno del fine vita, dal legislatore, a maggior ragione essa potrà valere – si osserva – su terreni certo delicati, per se stessi, ma sicuramente meno drammatici\irrevocabili, come quelli del disagio mentale o delle dipendenze.
Anche se la ‘’ricerca del consenso del paziente’’ resterà sempre – rimarchiamo – un imperativo imprescindibile per lo psichiatra, da coltivare accuratamente, nei limiti delle possibilità, in tutte le fasi delle terapie.
Ecco allora il c.d. ‘’patto di rifioritura’’: un negozio fra il Giudice Tutelare e una persona fragile allo scopo di fare uscire quest’ultima “dal tunnel” in cui questa versa contingentemente.