Imperativi categorici sul terreno del metodo, quando si parla di disagio-logia, eccoli

– il continente della fragilità umana, della “non autosufficienza gestionale”, si presenta estremamente variegato al proprio interno;

– ci sono bensì delle “costanti”, fisiologiche  e disciplinari, dei Leit-motiv destinati a entrare in gioco in tutte le ipotesi di vulnerabilità: ricerca della felicità, dignità, no all’interdizione, necessità del dialogo, semplificazione nelle procedure, mitezza, fluidità negli assetti, bisogno d’amore e comprensione, prontezza di intervento, economicità, rispetto;

– ci sono però anche, fra un gruppo e l’altro di fragili, significative “differenze” strutturali/antropologiche, cioè molte alternanze di ostacoli, di minacce, di impedimenti e di agguati  che incombono, secondo i frangenti e le circostanze, a livello storico, culturale, muscolare, anagrafico, neurologico:

– ed esistono quindi svariate “peculiarità orientative”, qua e là, nel trattamento civilistico cui far capo, volta per volta.

Il GT sa benissimo tutto questo, di solito, anche l’amministratore di sostegno in carica non lo ignora; lo sa la Convenzione Onu, anche l’Osservatorio nazionale della disabilità, anche il Parlamento italiano; lo sanno la nostra Costituzione, la legge 6/2004, i Servizi, le associazioni, noi stessi:

(a) quel che vale e che dev’essere, che dovrà cioè realizzarsi, introdursi come presidio giuridico, nell’agenda di uno che non può camminare, è quasi sempre diverso, in una percentuale  più o meno rilevante, per chi – mettiamo – ha compiuto ieri 98 anni, oppure è alcolista cronico, o è in carcere a vita, o è sordomuto, o è analfabeta di ritorno, o ha l’Alzheimer,   o è alto 92 cm., o è epilettico, o è un credulone congenito, o è sonnambulo, o ha tutti i tic del mondo, o è un migrante in serio imbarazzo coi misteri della burocrazia occidentale.

(b) far finta che queste differenze non esistano, voler esautorare il GT, puntare a eliminare il criterio del “diritto dal basso”, pretendere di esaurire tutto quanto a monte, nel codice, sperare e basta nella futura Provvidenza, ignorare i pericoli insiti in un “pensiero troppo utopistico”, avviare crociate omologatrici, giocare all’antipsichiatria, fare di ogni erba un “fascio”, prendere il format gestionale che è destinato a vigere per un certo spicchio di esseri umani che zoppicano, e cercare di farne il modello unico/rigido di riferimento per l’intera categoria dei “clienti della legge” – 800.000 individui? due milioni, tre, quattro, di italiani, più ancora? – tutto ciò significa una cosa sola: tornare indietro di cent’anni, fare harakiri istituzionale, condannare in partenza alla solitudine, alla disperazione e certe volte alla morte un sacco di “altri fratelli” (vi siete mai infilati al buio il piede sinistro nella scarpa destra, o nella scarpa della vostra figlioletta, o in quella di un gigante, quanti metri si riescono a fare così?).

(c) in sostanza: insistere (giustamente) affinchè un disabile poco autosufficiente e non a rischio venga aiutato dal GT o dall’AdS a fare, nella misura del possibile, tutto quello che desidera al mondo … ebbene, tutto ciò non vuol dire affatto che la stessa linea dovrà valere (sarebbe una follia, un’incoscienza: nessuna legislazione al mondo è così) rispetto alle  decine di migliaia di fragili autodistruttivi, ossia rispetto a  quelli che  per il  futuro, colpiti in varia misura dal destino, minacciano di fare cose, grandi o piccole,  palesemente a danno di se stessi o dei loro cari – o minacciano, peggio ancora, di non fare cose che sono, invece, assolutamente indispensabili per loro. 

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