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Oggi Adriano Sofri va all’attacco di Luciano Violante e si potrebbe pensare che sia sempre la stessa storia, quella all’ombra del grande albero della sinistra italiana. Una sinistra divisa, ferocemente, in sette e fazioni, ma qui c’è qualcosa in più a separare i destini di due pesi massimi del mondo progressista, ormai in là con gli anni. Ma non riconciliati, nel sangue del delitto Calabresi. L’età avanzata dovrebbe indurre alla pacificazione e alla comprensione, ma qui c’è di mezzo l’omicidio che ha avvelenato una lunga stagione della vita della Repubblica, ovvero la morte terribile del commissario Luigi Calabresi, abbattuto da un commando terrorista nel cuore di Milano il 17 maggio 1972. Un assassinio che è la porta d’ingresso nella sventura senza fine degli anni di piombo ma è stato anche un rompicapo giudiziario. Un parte dell’intellighenzia progressista si schierò con Adriano Sofri, leader di Lotta continua e intellettuale carismatico, accusato di essere il mandante dell’orrendo misfatto. Su un altro versante della stessa sinistra, Luciano Violante, ex magistrato e a lungo ritenuto il garante del cosiddetto partito dei giudici dentro Botteghe Oscure, puntò il dito contro di lui.
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