In seguito a trattamento sanitario obbligatorio con ricovero ospedaliero la cui ordinanza dispositiva veniva ritenuta illegittima per difetto di motivazione, l’interessata si rivolgeva al tribunale per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale asseritamente patito in ragione di quanto accaduto, peraltro scaturito da un semplice diverbio con un vicino.

Sia la pronuncia di primo grado che quella in appello rigettavano la domanda per mancanza di prova del danno patito. Fra le argomentazioni emergeva che eventuali “etichettature” potessero essere il frutto di caratteristiche personali ed un contrasto sociale pregressi e, secondo quanto riportato del giudizio di appello, che non fosse apprezzabile se le sue condizioni fisiopsichiche, credibilità sociale ed immagine fossero peggiorate a causa del trattamento.

Nella pronuncia di Cassazione, ove fra l’altro si denunciava la erronea e falsa applicazione degli articoli relativi al richiesto risarcimento, si è d’altra parte riconosciuto che i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile che non gode di elevata considerazione sociale.

Ogni persona, precisa la Corte “ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica” ed è censurabile, perché priva di ogni riscontro, oltre che prescindente da ogni approfondimento clinico e psicologico, sia pur richiesti, quanto affermato dalla corte di merito circa l’impossibilità di distinguere un “prima” ed un “dopo” rispetto a quanto accaduto. (Cassazione civile, ord. n. 33290 del 19.12.2024)

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