Attraversano o meglio cercano più volte di attraversare i confini di paesi della rotta, come Serbia, Croazia, Austria e Slovenia, che li respingono in modo violento. Sono di massima maschi giovani: altrimenti non ce la farebbero a superare gli ostacoli. Ma anche minori non accompagnati.
Arrivano a Trieste in condizioni disastrose, con le piaghe ai piedi, lesioni cutanee da traumi, spesso con la scabbia o con malattie infettive all’apparato respiratorio: hanno bisogno della prima accoglienza, e cioè di docce, ricambi, pasti e visite mediche. Le associazioni di volontariato forniscono questa prima assistenza.
Ma i problemi più gravi sono due: il primo è il percorso per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Occorrono venti o trenta giorni per poter solo accedere alla questura e manifestare la volontà di chiedere asilo. Una volta ottenuto un foglio di carta chiamato “Invito” servono due o tre mesi per ottenere il primo permesso di soggiorno per richiesta di asilo, da rinnovare in seguito.
Il secondo problema è ottenere un posto per dormire: gli arrivi stanno aumentando anche a causa del recente blocco alle frontiere di Francia, Austria e soprattutto Germania che accoglieva gli immigrati con un sistema strutturato.
Esiste a Trieste una rete locale dei dormitori, a cui contribuiscono comunità e associazioni di volontariato, che in parte soddisfa i bisogni degli immigrati in transito o di quelli che attendono sia l’invito che il permesso di soggiorno.
Ma un numero crescente dorme per terra, ovunque, dopo lo sgombero del vecchio Silos dove avevano sistemato tende o alloggi di fortuna.
Arriverà l’inverno, e l’inverno a Trieste è duro: quelli che non hanno un letto dormiranno all’aperto, al freddo, esposti ai topi e alla bora.
3 risposte a “I fragili della rotta balcanica – Alberto Banterle”
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Povertà, schiavitù e sfruttamento spesso determinano “partenze” che non hanno propriamente a che fare con la fuga da un pericolo e non ammettono risposte “fotocopia” ma misure adeguate. Una soluzione va cercata.
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Certamente. E’ il problema della provenienza da “Paesi sicuri”. Ma nel testo pubblicato mi riferisco a chi chiede asilo in modo regolare, seguendo le prassi previste. Sono i tempi di attesa per ottenere l’ “Invito” e quelli per ottenere il permesso che sono lunghi. Sono tempi in cui per la maggioranza degli immigrati della rotta balcanica non c’è nessuna protezione. Suppliscono i volontari, ma ad esempio da quattro anni d’inverno ci sono mediamente 200 giovani (in rotazione) che dormono per terra in edifici fatiscenti.
Comune e Prefettura hanno rifiutato di dare spazi con un minimo di servizi. E’ una questione umanitaria, che non contrasta le strategie del governo sulla immigrazione. -
Aggiungo qualcosa di più preciso alla risposta che ho dato alla domanda di Carol: innanzitutto in merito ai “paesi sicuri”.
Secondo la Direttiva UE 2013/32, un paese si considera “sicuro” se, in base allo stato giuridico, all’applicazione della legge in un sistema democratico e alla situazione politica generale, si può dimostrare che in quel paese non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, tortura, trattamenti inumani o degradanti, né pericolo dovuto a violenza indiscriminata in conflitti armati interni o internazionali. Ogni Stato membro, però, può definire autonomamente la propria lista di paesi sicuri, basandosi anche su dati di agenzie internazionali quali UNHCR o Agenzia UE per l’asilo.Questi migranti, accertata la provenienza vengono respinti (come dire: torna a casa tua e cerca casomai di migliorare il tuo paese…). Per gli altri i tipi di accoglienza sono diversificati. A Trieste esiste l’Accoglienza diffusa: una associazione ad esempio, che ha vinto a suo tempo un bando, dà ospitalità a 800 immigrati regolari in 140 appartamenti. Per vivere questi devono trovarsi un lavoro. I Centri per l’impiego li aiutano, con corsi e segnalazione di posti vacanti.
I cittadini comunque diffidano, hanno paura. Quello in cui credo si debba confidare è che chi ha un lavoro e si è formata una famiglia non ruba, non rapina, non stupra.
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