In manicomio

In manicomio un’ammalata mi appioppò un sonoro ceffone.

Il mio primo istinto fu quello di renderglielo. Ma poi presi quella vecchia mano e la baciai. la vecchia si mise a piangere. “Tu sei mia figlia”, mi disse.

E allora capi cosa aveva significato quel gesto di violenza. Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.

A. Merini

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2 risposte a “In manicomio”

  1. Avatar Manuele Pizzi
    Manuele Pizzi

    Anni fa, presso un reparto di SPDC, presi l’iniziativa di redarguire una paziente che si comportò male con un OSS. Nessuno disse nulla, sulla base dell’antico adagio “Tanto è pazza”.
    La tolleranza che maschera lo stigma.
    L’essere sofferente psichiatrico non è una causa di giustificazione per le manifestazioni violenza eterodiretta

    Bisogna fare attenzione, ed evitare di mitizzare, in modo inconsapevole la malattia mentale.

  2. Avatar Anna Melillo
    Anna Melillo

    Quello che fa perdere forza ad uno stigma è solo la conoscenza. Avere consapevolezza di qualcosa, qualsiasi esso sia, lo rende più vicino e comprensibile. E, forse, meno spaventoso. Perché la malattia mentale fa paura, molta paura a chi non ne ha una corretta cognizione. Ed è anche motivo di una visione distorta di chi ne è affetto. La conoscenza effettiva della pazzia, con tutte le sue molteplici implicazioni, invece fa sì che non diventi la malattia a causa della quale o grazie alla quale è tutto permesso e possibile a chi ne è affetto. Occasioni di confronto sull’argomento pertanto ritengo siano necessarie.

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