Inclusione e realizzazione

Il piano dell’inclusione non è qualcosa di rigido, su questa terra.

“Non esistono schemi di condotta buoni per tutti; scritti in alto, con lo scalpello da marmo”.

 Fondamentale certo, continuo, l’oggettiva qualità della vita.

Molte al riguardo le uniformità, le costanti.

 La rampa di accesso, importante per chi  non cammina; imparare a scuola la geografia, la storia, l’italiano.  Il braille per i ciechi, facilitazioni economiche per gli apparecchi acustici.

“Però in qualche dettaglio le combinazioni esistenziali divergono sempre”.

  Grandi o piccole le peculiarità non mancano mai.

“Jennifer ad esempio: non può camminare, ama le carrozzine piccole; colori chiari, ruote basse e larghe, manubrio tipo bicicletta, seduta morbida, pochi bottoni. Sonja invece: condizioni simili, preferisce le carrozzine grandi; nere rigorosamente, con due ruote alte e due piccole, non molleggiate, sedile rigido”.

La prima: non ha paura del servo-scala, riesce a salirci e scendere senza aiuto, detesta le corsie rotonde; un po’ impacciata ai semafori, le poche volte che viene lasciata da sola, per strada, davanti all’accompagnatore. La seconda: non sopporta le strade sterrate, si diverte sopra le pozzanghere; daltonica, ha confidenza coi taxi, gira per conto suo ai musei, va senza difficoltà in ascensore.

  Due donne, due situazioni differenti.

“Le cose di cui hanno bisogno sono, al cinquanta per cento, le medesime; per l’altro cinquanta diverse”. I piani di assistenza e i protocolli, nell’un caso e nell’altro, non potranno mai sovrapporsi.

Gli studenti mi ascoltano, giocano poi fra di loro: “In cosa siamo uguali, noi due, in che cosa diversi?”. “Sei un po’ troppo originale, non va bene”. “Vorrei assomigliare a te, come si fa?”.


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