Il risultato, a parte l’oggettiva iniquità per la controparte, potrebbe essere una sorta di ingessamento negoziale, alla lunga ‘’pervasivo-esistenziale’’: stante il rifiuto a monte – da parte dei terzi – a entrare in affari con creature autorizzate a fare ciò che vogliono, magari del male, senza fornire spiegazioni.

  Una tendenziale parità di trattamento, tra fragili e non fragili, nell’interesse anche dei primi, si profilerà a volte come la miglior linea di politica del diritto.

  Bene un’impugnativa, sicuramente, per atti conclusi da soggetti cui il potere dispositivo era stato, in via formale, tolto dal giudice tutelare.

 Dubbi tuttavia sulla funzionalità di norme: (a) come l’art. 428 c.c., secondo comma, che parrebbe consentire l’annullabilità di contratti equilibrati per sé stessi, impeccabili, non dannosi per l’incapace; (b) o come l’art. 2046 c.c., che a beneficio dei gravi infermi di mente mantiene in vita una licenza di far danni, e farla franca poi, non più al passo con i tempi.

 Quale condominio, in situazioni del genere, accetterebbe al proprio interno una casa-appartamento per creature instabili mentalmente?

Quanti interlocutori, sapendo di aver a che fare con un soggetto facile da abbindolare, miracolato però dal sistema, in grado di evitare sanzioni in senso stretto, a suo piacere, non preferiranno scansarlo già in partenza?

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