Parlare e non parlare

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– Non esiste nel  diritto privato chi “non parla”. Da ogni persona è possibile trarre  segnali, più o meno limpidi, su ciò che essa ospita nel cuore o nella testa (sentire Beethoven la sera, bere champagne, affacciarsi il pomeriggio alla finestra). 

 – Giusto occuparsi, parlando di malati terminali, dei problemi della sospensione dei trattamenti; gli ultimi mesi appartengono però (come quelli precedenti) alla vita ed esistono allora altre questioni. C’è chi punta a tornare dove è nato, chi chiede di incontrare vecchi amici; chi vorrebbe sfogliare il suo primo quaderno, chi sposta sempre fondi e obbligazioni, chi vagheggia pietanze o bevande esotiche.

 –  S’incontra spesso, a scuola, in tribunale, in corsia, qualcuno dell’apparato  che, pur dovendo farlo (stante il ruolo che riveste), non sa in realtà “ascoltare” il prossimo. C’è chi non ne è proprio capace, chi neanche ci prova, chi non ha tempo, chi fa così di proposito. Sempre lì andranno cercate, comunque, le cause del black-out  interpersonale, e anche le colpe. 

 –  Quanto più un disabile stenta a venir compreso (circa il “fare” che vorrebbe per se medesimo), tanto più il ruolo di chi lo rappresenta od  assiste sarà importante. Buon vicario è comunque quello che non ha “opinioni proprie” (che non le fa pesare al’esterno); conta  ogni volta ciò cui l’assistito aspira, anima e corpo, se  qualcosa di oscuro/dissimulato c’è  bisognerà scoprirlo.

 – Inviti al bene sì, finali di partita edificanti anche, tenendo sempre la mano leggera però! Riappacificazioni in limine, conversioni tardive, pagine voltate sonoramente, Rosebud, perdoni a tempo scaduto? Senza uscire dagli orizzonti  dell’interessato comunque.

–  Mai indirizzarsi, nella scelta fra due assetti, di cui l’uno più rigido e l’altro più elastico (mettiamo, l’interdizione e l’amministrazione di sostegno), sulla base (a) dell’argomento che il secondo postulerebbe una pienezza di dialogo con il destinatario,  e (b) del riscontro che la persona da proteggere è in concreto senza voce, che non va oltre qualche  sussurro.  Ciò a maggior ragione dinanzi a tipi di attività giornaliere che,  per se stesse, richiedano libertà e freschezza di gestione (beni che proprio l’opzione più drastica incrinerebbe a monte).

 –  Intenti profondi, valori autentici di quel   disabile (ormai silente, non  più reattivo agli stimoli)? Meglio se presso il notaio  – o entro  un registro ufficiale  – esiste qualche traccia; altrimenti si “lavorerà” con quello che c’è a disposizione. Lettere e cartoline, cascami informatici, murales, Facebook e Twitter, battiti di ciglia (“codesto solo oggi possiamo dirvi, ciò che non siamo ciò che non vogliamo …”), confidenze con le amiche del liceo, video del tempo libero, scelte nei regali, disegni, temi in classe, oppure  incisioni sugli alberi, smorfie significative, messaggi a Babbo Natale, canzoni di un torneo di capodanno, e così via.

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