GIUGNO 28, 2025

Con la sentenza numero 68, depositata il 22/05/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.

Ancora una volta alla Corte, quindi, è spettato il compito arduo di adeguare l’ordinamento legislativo alle mutate e nuove esigenze della società in rapporto ai principi costituzionali.

La questione era stata sollevata da Tribunale di Lucca che aveva censurato le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 della Legge n.40/2004 che impediscono al bambino nato in Italia a seguito di procreazione assistita eterologa, praticata da una coppia omogenitoriale, il riconoscimento anche da parte della madre intenzionale che, con la madre biologica, ha prestato il consenso alla procedura, nell’ambito di un progetto di vita comune.

La Corte ha, preliminarmente, precisato, che le questioni affrontate non riguardano l’aspirazione alla genitorialità in generale ma l’interesse del bambino al riconoscimento di quel complesso di doveri che l’ordinamento collega alla scelta di diventare genitori. 

Tali doveri sono individuati dall’ art. 147 cod. civ.  negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. 

La norma, letta nell’alveo dell’art. 30 della Costituzione, individua il nucleo di detta responsabilità, nell’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi.

A tali doveri corrispondono un insieme di diritti speculari in capo al figlio che si concretizzano in quello fondamentale, riconosciuto a livello di legislazione ordinaria e internazionale, a mantenere un rapporto con entrambi i genitori.

Nella giurisprudenza della Corte, oltre al tema della essenzialità della tematica legata al miglior interesse del minore, nel tempo si era già delineato anche quella della” unicità “dello status di figlio.

In questo ambito, per la Corte Costituzionale, il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento al riconoscimento dello stato di figlio in rapporto ad entrambi i genitori, non sussistendo ipotesi di contrasto con i principi e i valori costituzionali.

La Corte, infatti, aveva già rilevato nella disciplina che consente l’attribuzione dello stato di figlio solo alla madre biologica un vulnus, rimarcando l’esistenza di una grave lacuna dell’ordinamento, che non poteva essere sanata dalla possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico. 

Per i giudici, quindi, l’impedimento posto dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 a essere, sin dalla nascita, riconosciuto come figlio di entrambe le donne che hanno deciso di fare ricorso a tecniche di PMA lede l’interesse del minore ad una vita affettiva completa e viola l’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto uno stato giuridico certo e stabile; l’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; l’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. 

Avv. Carmela Bruniani

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