Mi fa paura leggere dell’avanzamento della legislazione sul fine vita. Mi fa paura perché mi interroga nel profondo, mi chiede conto del mio fratello sofferente, a cui non riesco a stare vicino come si dovrebbe, come sarebbe giusto per lui e soprattutto per me, che da lui acquisto consapevolezza della mia fragile umanità. Non mi sento in grado di accettare la possibilità di dare a qualcuno il diritto a morire. Lo so, ognuno di noi si sente padrone della propria esistenza – e forse lo è – e crede di poterla gestire come meglio può, ma a me stringe il cuore pensare alla solitudine immensa di chi, immerso nel suo più profondo dolore, fisico o psichico, chiede di poter interrompere la propria vita. E noi? Dove siamo noi, gli altri, i sani che non siamo capaci di prenderci cura di lui, di abbracciargli l’anima, di fargli sentire il nostro amore? È veramente questo che vogliamo? Dare a tutti il diritto di scegliere se vivere o morire? Ma questo è davvero il cambiamento, la crescita, il progresso che stiamo cercando e che ci rende civili? Non mi riconosco in una società che sembra aver perso ogni riferimento al concetto di vita come dono, come regalo straordinario di un Dio che ci ama e ci accompagna soprattutto nel buio della sofferenza.
Più che una vittoria dei diritti questa legislazione mi sembra un’orgia dell’autodeterminazione, dell’autosufficienza. Dell’uomo che guarda alla vita come percorso costellato solo da momenti felici, perché nel momento più triste quella vita si può scegliere di non viverla, di rinunciarvi. È come se l’esistenza avesse senso solo quando è bella e facile: la malattia, il dolore, la fragilità in una società che premia l’efficienza non sono concepibili. Il diritto a morire in questo modo diventa semplicemente una vuota corsa a non soffrire. In questo modo diventa accettabile aiutare a morire invece che aiutare a vivere e stare accanto a chi non è più efficiente, autonomo, forte e capace di gestirsi.
Siamo ormai parte di un contesto sociale che non ha la necessaria attenzione per i deboli, che li schiaccia e li accompagna verso scelte dettate solo dalla paura del dolore e della solitudine.
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