Elvira Reale, psicologa, Centro studi “Protocollo Napoli”
La recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sezione VI penale, la n. 35667 depositata il 31.10.25, relatrice Paola Di Nicola Travaglini (presidente, Massimo Ricciarelli) rappresenta una lezione magistrale sulla violenza di genere contro le donne, andando a traslare sul piano giuridico ciò che fino a questo momento era stato patrimonio della psicologia e della sociologia. L’individuazione nella violenza domestica di un ciclo di comportamenti tipicamente a tre fasi: tensione, episodica esplosione, riconciliazione la dobbiamo, ab origine, a Leonore Walker (Walker, L., The Battered Woman Syndrome, 2009, 3 ed., Springer Publishing Company). Qui sotto ne riportiamo le fasi.
Fase I. Durante la prima fase, si verifica una graduale escalation di tensione manifestata da atti discreti che causano un aumento dell’attrito, come insulti, altri comportamenti intenzionali di umiliazione e/o di violenza fisica. Il maltrattante esprime insoddisfazione e ostilità, ma non in forma estrema o esplosiva. La donna cerca di placare il maltrattante, facendo ciò che pensa possa compiacerlo, calmarlo o, almeno, ciò che non lo esasperi ulteriormente. Cerca di non reagire alle sue azioni ostili e utilizza tecniche generali di riduzione della rabbia.
Fase II. La seconda fase è caratterizzata dalla scarica incontrollabile delle tensioni accumulate durante la fase uno. Il maltrattante in genere scatena una raffica di aggressioni verbali e fisiche che possono lasciare la donna gravemente scossa e ferita, provocandone spesso l’allontanamento anche in modo subitaneo, improvviso e anche con l’intervento delle forze dell’ordine.
Fase III. Il maltrattante può scusarsi, cercare di aiutare la vittima, mostrare gentilezza e rimorso, ricoprirla di regali e/o promesse. Il maltrattante può far credere a questo punto che non si permetterà mai più di essere violento. La donna vuole credere al maltrattante e, almeno all’inizio della relazione, può rinnovare la speranza nella sua capacità di cambiare. Questa terza fase fornisce il rinforzo positivo per rimanere nella relazione (aa aggiungere però che le ragioni a permanere nella relazione maltrattante sono anche dovute alla presenza di bambini piccoli). Molti degli atti che il maltrattante ha compiuto quando lei si è innamorata di lui durante il corteggiamento si ripetono in questa fase. La terza fase potrebbe anche essere caratterizzata da un’assenza di tensione o violenza oppure la donna può mantenere una percezione elevata della tensione e del pericolo. In questo ultimo caso vi è un segno (la paura della donna) di un rischio elevato, che non decade, di violenza grave.
Sottolineiamo in particolare l’importanza di vedere traslata nella sentenza di Cassazione quella che è la terza fase del ciclo della violenza, la fase della cosiddetta riappacificazione anche dopo violenze denunciate. Questa fase infatti era quella che, non pienamente compresa dal giudicante, aveva in qualche modo reso la testimonianza della donna fragile e non credibile. Per di più nei procedimenti per violenza, spesso abbiamo visto l’autore utilizzare le fasi di riappacificazione (ad esempio, la messagistica di ripresa della relazione) come prova che la violenza non c’era stata e che le accuse non erano fondate. Molte delle archiviazioni si sono basate proprio sulla incomprensione da parte dei giudici di questa fase che è tipica della violenza domestica e che non si trova certo in altre tipologie di violenza. Questa tipicità della violenza di coppia spiega anche perché alcuni procuratori (ad es.. Francesco Meditto, Tivoli; Mariella Di Mauro, Napoli Nord), parlano oggi di una competenza specifica per affrontare questa materia al pari di quella richiesta per i delitti di mafia. Il procuratore Menditto in particolare illumina il contesto intimidatorio presente nei delitti di mafia che è similare al contesto dei reati di violenza nelle relazioni intime e chiede quindi di introdurre il reato di violenza domestica (presente nel nostro ordinamento nell’art. 572cp e non ancora in un reato specifico).
Ma oggi la sentenza di Paola Di Nicola aggiunge un altro tassello a questo contesto specifico in cui prende forma il reato di violenza domestica che consiste nella sua ciclicità che non troviamo in altri contesti e tanto meno nel contesto mafioso. Quindi possiamo parlare sicuramente della necessità di elaborare sul piano giuridico una nuova fattispecie di reato, ma dobbiamo anche arrivare ad una specificazione del reato che non è solo fatto di intimidazioni e minacce, ma anche di altre specificità che vanno ben comprese e studiate per non commettere errori che si possono poi riverberare direttamente sulla vita delle donne. Ad oggi infatti i femminicidi non decrescono, come non decrescono le varie violenze contro le donne, comprese le violenze sessuali, gli stupri, il revenge porn, a cui si aggiungono anche le violenze on line.
Dalla sentenza 35667/25 riportiamo ora alcuni passi: “Il ragionamento del Tribunale di Avellino inquadra non illogicamente – ed anzi in coerenza con un dato esperienziale – i comportamenti di V. all’interno di una tipica modalità manipolatoria e ciclica della violenza nelle relazioni intime, in cui i maltrattamenti dell’autore, soprattutto psicologici (disprezzo, umiliazioni, denigrazioni, ricatti morali rispetto alla sottrazione del figlio appena nato, richiami costanti all’inadeguatezza della donna in quanto donna), seguiti da violenze fisiche, idonee a porre in pericolo la vita del nascituro, erano state tali da culminare nella rottura della relazione, ma anche in successive richieste di perdono di G., capaci di confondere la vittima e porla nell’illusoria aspettativa del cambiamento, accettando la ripresa della convivenza, sino a riprendere con maggiore crudeltà nel periodo successivo”.
La sentenza poi si addentra in una distinzione dottrinaria tra “giudizi ipotetici (a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su esperienze ripetute, ma autonomi da esse, valevoli per nuovi casi e suscettibili di verifica empirica) e la congettura o l’illazione (una generalizzazione cui non corrisponde un’effettiva conferma empirica). Tale distinzione serve a collocare il costrutto esperienziale del ciclo della violenza, validato dalla letteratura scientifica e dalle organizzazioni sanitarie (come L’OMS, richiamata in sentenza, ma non solo) nei giudizi ipotetici e a dare così ad esso un fondamento, quale esegesi del comportamento cosiddetto ‘altalenante’ delle donne nella relazione intima connotata da violenza.
Dalla sentenza: “Nel caso in esame, l’affidabilità della massima di esperienza costituita dalla modalità ciclica, con precise fasi, della violenza nelle relazioni strette, anche con riferimento alle dinamiche relazionali che in quell’ambito si sviluppano, è legata non solo all’ampia casistica giudiziaria circa i comportamenti ricorrenti degli autori e delle vittime in questi reati, ma anche alla loro progressiva acquisizione da parte sia di organismi internazionali accreditati sia, infine, delle stesse fonti sovranazionali (vedi infra§ 3.4.)”.
E ancora: “Le condotte riferite dalla persona offesa, con le sue paure e i suoi ripensamenti, danno puntuale conto del c.d. ciclo della violenza ovverosia un modello tipico di crescita esponenziale della modalità maltrattante nei contesti affettivi di coppia che si sviluppa secondo precise fasi, tutte sussistenti nella specie, e correttamente valutate dai Giudici di merito proprio in questa chiave”.

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