Un bambino piccolo, il quale perda la sua mamma in un incidente stradale, avrà tanti oscuri dolori e molte ombre sotterranee di cui soffrire, più o meno inconsapevolmente; ma quel che è certo è che la sua vita esterna, ora per ora, punto per punto, viene sconvolta dal fatto, appunto, di non avere più la madre. Giochi, addio coccole, pulizia, latte, fiabe, vacanze, aria aperta, ninna nanne, feste, respiro, fisicità. Si potrebbero fare mille esempi del genere: anche se, fra i due universi del soffrire e del fare (fare male, dover fare, non poter più fare), possono esistere contiguità, corrispondenze, si tratta comunque di due sfere diverse e indipendenti dell’essere umano. L’idea del danno esistenziale nasce intorno al 1990, a Trieste, come consapevolezza della necessità di valorizzare il momento risarcitorio del fare, accanto al filone dei dolori; in ordine cioè a ripercussioni mondane, relazionali, che finisca per risentire – come impatto e come pretesa – una persona in tanti casi di illecito. Ecco così, accanto alle voci del male interiore, il parallelo settore/filone delle ‘’attività realizzatrici’’, minacciate o pregiudicate a seguito di quell’evento antigiuridico. Non poter più camminare bene, non poter più fare all’amore, non poter più ballare, essere in difficoltà nel parlare, nel giocare, nello scrivere, nel partecipare ad eventi sociali, culturali, artistici, nel portare avanti una carriera politica, nel fare dei viaggi e così via.
Il danno esistenziale sostanzialmente scompone/ricompone la vita umana in una serie di sub-raggi esplicativi e per ciascuno di essi, volta a volta, si interroga sugli scompensi di vitalità, di fragranza per la vittima, anche o soprattutto non biologica: che cosa non puoi più realizzare, di quello che facevi allora, che cosa sei costretto a compiere che non avresti fatto prima. Ecco queste due raggiere del fare perduto e del fare obbligato sono le componenti di base del danno esistenziale. Vivere significa in effetti agire, collegarsi agli altri, oziare se si vuole come Oblomov, operare, non andare in prigione, fare del bene, non essere sequestrati o stalkizzati o diffamati, esprimersi nelle cose che facciamo o non facciamo: tutto questo andrà evidenziato, provato, raccontato al giudice e alla fine risarcito puntualmente.

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