Corte d’Appello di Torino, Sez. Lav., 17 marzo 2025, n. 150 – Stato di ebbrezza e molestie sul luogo di lavoro: licenziamento per giusta causa.
Il tribunale di primo grado non aveva ritenuto non provata la giusta causa per il licenziamento di un lavoratore per un solo bacio, avvenuto in leggero stato di ebbrezza, a una collega, senza testimoni a supporto e denunciato dalla vittima dopo alcuni giorni dall’accaduto.
Con la sentenza n. 150/2024, la Corte d’Appello di Torino ha completamente ribaltato la decisione di primo grado, offrendo un’interpretazione molto più rigorosa del comportamento del lavoratore. Il punto centrale della decisione è l’applicazione dell’articolo 26, comma 2, del D.Lgs. 198/2006, meglio noto come Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Questo articolo stabilisce che: “si considerano discriminazioni le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, che violano la dignità della persona e creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Secondo i giudici d’appello, quindi, l’abbraccio e il bacio improvviso, accompagnati da parole inopportune, costituiscono a tutti gli effetti molestie sessuali e devono essere ritenute tali e pertanto condannabili, anche all’interno di un contesto particolare come quello della festa aziendale. Non importa se il gesto è stato compiuto una sola volta o se non c’erano altri che potessero poi testimoniare quanto accaduto, in quanto ciò che conta è che la vittima lo abbia subito, non gradendolo, e che si sia sentita violata nella sua dignità personale.
Inoltre, è stato richiamato l’articolo 48, lettera b), del CCNL Multiservizi, che permette il licenziamento per giusta causa nei casi in cui si verifica una rottura del vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro. In questo caso specifico, i giudici d’appello hanno ritenuto evidente che un comportamento così grave e inappropriato rendesse impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo e legittimo il successivo licenziamento del lavoratore.
Fondamentale è stato inoltre per la Corte d’Appello l’aspetto riguardante il valore della testimonianza della persona offesa, che in primo grado non era stata ritenuta credibile, per il ritardo con cui era stata da lei segnalata la molestia subita, in quanto ha chiarito che in sede civile, a differenza del penale, non serve un riscontro esterno per rendere valida una testimonianza. L’importante è che la donna abbia saputo fornire una ricostruzione dettagliata dei fatti, senza contraddirsi e soprattutto non utilizzando toni vendicativi nei confronti dell’aggressore.
A ciò si aggiunge che anche il ritardo nella denuncia non è stato valutato quale elemento invalidante, in quanto è stato ritenuto dai giudici d’appello perfettamente comprensibile che una vittima possa impiegare qualche giorno per elaborare il trauma e decidere di parlarne. E il fatto poi di essere in stato di ebrezza non è di sicuro una scusa legittima per un comportamento così offensivo nei confronti della dignità della collega e anzi ne aggrava la situazione.
ANNA MELILLO

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