Il rispetto dovuto al momento solenne della confezione testamentaria, qualunque ne sia la forma, a tutela anche e soprattutto dei soggetti fragili
Gli scritti autografi di una persona cara, di un genitore, un familiare che non c’è più hanno un valore inestimabile per chi rimane. L’emozione che si prova imbattendosi in detti scritti è sempre molto forte: quello scritto diventa segno di una presenza ancora viva in noi, assume perciò un valore quasi sacrale. Ancora più sacro è quello scritto quando contiene le volontà consapevolmente manifestate del suo autore, destinate ad avere effetto a partire dal suo decesso.
Il testamento, in qualunque forma venga redatto, è un atto sostanzialmente solenne, proprio perché si presenta come una disposizione consapevolmente disposta dal suo autore per quando non ci sarà più, un messaggio ai posteri, un messaggio nella bottiglia, destinato a dare attuazione alla volontà del soggetto anche dopo la sua morte, e quel preciso momento della confezione del testamento è un momento sacro e solenne. E se il soggetto che intende scrivere il suo testamento è un soggetto fragile? Può trattarsi di fragilità o debolezza psicologica, che potrebbe renderlo suggestionabile da parte di terzi che ne volessero approfittare, ma può trattarsi anche soltanto di debolezza fisica, tremore nelle mani. Casi, questi ultimi, in cui il testamento olografo, cioè scritto tutto di pugno dal testatore, deve continuare a rimanere totalmente autografo, non essendo ammessi interventi di supporto nella scritturazione da parte di terzi soggetti. La conseguenza sarebbe la nullità del testamento (salva l’ipotesi che l’intervento esterno riguardi un elemento, come la data, la cui mancanza comporti solo l’annullabilità e non la nullità del testamento: Cass. n. 30237/2023). La ratio della norma, si dice, è l’assoluta personalità dell’atto testamentario, ma leggendo una recente ordinanza della Corte di Cassazione ho percepito una ratio ancora più profonda: quella sacralità del momento della scritturazione autografa della scheda testamentaria, che impone una tutela assoluta, anche e soprattutto del soggetto fragile in quel particolare momento della sua proiezione verso il dopo.
Le decisioni dei giudici devono essere sempre motivate, cioè devono avere una ratio; talvolta, come in questo caso, hanno anche un’anima: “Deve ritenersi che, in presenza di aiuto e di guida della mano del testatore da parte di una terza persona, per la redazione di un testamento olografo, tale intervento del terzo, di per sé, escluda il requisito dell’autografia di tale testamento, indispensabile per la validità del testamento olografo, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda alla volontà del testatore. Per tali ragioni, è ultroneo verificare se la mano guidante sia intervenuta su tutta la scheda testamentaria o se la parte non interessata dal suo intervento rappresenti una compiuta manifestazione di volontà, trattandosi di condotta in ogni caso idonea ad alterare la personalità ed abitualità del gesto grafico”: così Cass. civ., Sez. II, ordinanza 9 aprile 2025, n. 9319.
Il Supremo Collegio afferma ulteriormente che, in tali casi, condizionare l’accertamento della validità del testamento alla verifica di ulteriori circostanze – quali l’effettiva finalità dell’aiuto del terzo o la corrispondenza del testo scritto alla volontà dell’adiuvato – minerebbe le finalità di chiarezza e semplificazione della disciplina, ma anche, possiamo aggiungere, il rispetto dovuto al momento solenne della confezione testamentaria, qualunque ne sia la forma, a tutela anche e soprattutto dei soggetti fragili.
Ai quali rimane sempre disponibile la possibilità di rivolgersi ad un notaio per la stipula di un testamento per atto pubblico alla presenza di due testimoni.
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